Recensione Libro intervista Roberto Giorgetti autore del libro Punto in corsivo

Intervista allo scrittore Roberto Giorgetti.
Roberto Giorgetti
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Intervista a Roberto Giorgetti

1. Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo saggio Punto in corsivo cosa diresti?

Intanto direi che non so se Punto in corsivo è un saggio.
Quello che so è che una raccolta di emozioni e di pensieri, scritti il più possibile di getto, ritoccati giusto l’indispensabile per togliere gli errori e rendere alcuni concetti più comprensibili. Non so se ci sono riuscito e non so nemmeno se questo è il metodo giusto per scrivere un saggio.
Quello che posso dire è di avercela messa tutta per proteggere il contenuto dal contagio dei luoghi comuni. E in questo credo di esserci riuscito.

2. Da dove nasce l’ispirazione per questo libro che racconta, attraverso storie vere e di fantasia, com’è diventata l’Italia e cosa bisognerebbe fare per cambiare la nostra società con una politica migliore?

Il libro è stato scritto senza farlo apposta, nel vero senza della parola, e pertanto non ha avuto un’ispirazione propria.
Una volta ho preso parte ad un viaggio in Africa, una traversata del deserto del Kalahari per l’esattezza. Eravamo un gruppo di persone abbastanza preparate, chi per un verso e chi per l’altro, per poterlo affrontarlo senza grosse difficoltà. Con noi si aggregò un amico che era alla prima esperienza di quel tipo e, nel passaggio dallo stabilimento attrezzato di Forte dei Marmi alle piste sabbiose del Botswana, si era portato dietro delle grandi tascate di mentine.

In quel viaggio ci trovammo spesso a dover risolvere piccole difficoltà che andavano dal problema meccanico allo spalare, come matti e sotto il sole, per liberare una macchina insabbiata. Altre volte “perdemmo” la pista o non avevamo abbastanza legna per il falò. Quell’amico, in quei momenti, arrivava con le sue mentite e, scusandosi di non essere preparato per fare altro, ce le offriva.

In realtà la sua presenza in quel viaggio fu tremendamente utile per almeno due motivi: il cuore che porgeva quelle mentine aumentava vertiginosamente il ritmo dello spalare e quello della chiave inglese; il deserto di sera è veramente grande e le risate che ci faceva fare, intorno al fuoco, rischiavano di riempirlo.
Tolte le mentine e le risate (non ho mai con me le prime e non sono capace di suscitare le seconde) quando ho capito che era necessario attivarsi e che, anzi, non farlo voleva dire rendersi colpevolmente complici, mi sono aggregato anch’io. L’ho fatto appiccicandomi ad un gruppo di persone competenti e preparate. Io invece ero lì, senza nemmeno le mentine, incapace di dar loro una mano.

Mi sono messo allora a scrivere qualcosa per riempire degli spazi sul nostro sito e sul nostro giornalino. Gli articoli che ne sono venuti fuori sono stati le mie mentine.
E’ stato dopo, partendo da un’idea di Antonio e di Alberto, che ho cominciato a “cucire” insieme quelle “mentine” cercando di dargli un senso e che poi, grazie all’interessamento dell’editore, sono diventate un libro.

3. Cosa vorresti che il lettore riuscisse a comprendere leggendo il libro? Quale significato non del tutto esplicito vorresti potesse cogliere?

Vorrei che il lettore riuscisse a comprendere che non c’è più tempo, che il margine di manovra per cambiare la rotta ce lo siamo già mangiato tutto e che, se non la cambiamo, ci sfracelleremo presto sugli scogli.
Avendo chiara questa situazione di emergenza credo di non aver lasciato spazio a messaggi velati se non, forse, quello che cambiare non solo è doveroso e possibile, ma è anche, tutto sommato, facile perché la soluzione sta nella semplicità delle cose. Ho cercato comunque di essere sempre chiaro e diretto e Giacomo, in questo, è stato di grande aiuto con le sue vignette.

Vorrei anche che nessuno leggesse questo libro per curiosità o per curiosare in quello che c’è scritto. Vorrei che invece fosse letto per incuriosirsi: c’è un grande bisogno di sapere di più, di sapere i perché, di sapere cosa c’è dietro. Non ho la pretesa che questo libro informi, spero però che possa servire a qualcuno come leva per andarsi a cercare gli ingredienti su cui elaborare ragionamenti e riflessioni proprie, rifuggendo dalle opinioni pre-confenzionate che ci vengono propinate come notizie.
Ho una grande paura di chi non si fa domande, di chi si lascia pigramente trasportare giustificandosi con la falsa scusa che tanto non cambia niente.
Per finire, vorrei che suscitasse una sana rabbia.

4. Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire il tuo libro, quali useresti?

Libero, liberatorio e collettivo.
Libero perché tutto quello che contiene c’è stato messo dentro in piena libertà, senza dover render conto a chicchessia; addirittura senza mai nemmeno doversi porre il problema se, quell’espressione o quel concetto, potessero o meno piacere o disturbare qualcuno.
Liberatorio perché io l’ho usato, lo ammetto, per togliermi qualche sassolino dalle scarpe: dopo averlo scritto mi sembra di camminare meglio.
Collettivo perché questo libro, per il quale io mi sono limitato a fare buona parte del lavoro di sartoria, appartiene a tutto il gruppo degli amici che ruotano intorno a certi ideali e all’interno di un determinato territorio. Tutti loro hanno contribuito con degli spunti, come se fossero dei semini, da cui sono nate le storie che il libro raccoglie. Poco importa se quegli spunti sono serviti come punto di partenza o come punto d’arrivo. In ogni caso sono stati i semi da cui sono germogliate le parole che io ho messo in fila. E nemmeno sempre, perché due o tre storie, scritte dall’amico Valerio, le ho copiate pari pari.

5. Perché credi che si debba leggere Punto in corsivo?

Perché credo che guardi la scena da un’inquadratura diversa, lontana dai consueti luoghi comuni che tanto male hanno fatto e continuano a fare alla nostra società. Inquadrare da un punto di vista diverso aiuta. Quando i miei amici “attivati” mi hanno aiutato a farlo a me è servito molto.

6. Cosa hai provato in questi anni dedicati alla scrittura di questo libro nel raccontare le tue storie?

Senso di partecipazione.
In tante altre occasioni avevo pensato di averlo provato e invece era senso di appartenenza. La partecipazione è diversa.
Appartenere a un gruppo o a un ideale, a un insieme di valori o a un sogno, per quanto giusti e condivisi, vuol dire comunque conformarsi a quel gruppo, a quegli ideali, a quei valori o a quel sogno. E’ un’esperienza che ho fatto, per esempio, nel mondo del volontariato. Ci sono capi saldi che, per quanto ossidati e superati, devono rimanere invariati. Tuttalpiù puoi influenzare il contorno ma il nocciolo non si tocca.

Partecipazione, invece, vuol dire costruire insieme, influire direttamente sull’ossatura dei percorsi che vengono tracciati e sulle posizioni che vengono prese. Ovviamente, tutto questo, è avvantaggiato dal fatto di trovarsi in un movimento nuovo, ancora e per molti versi da costruire. Ancora di più la differenza è avvertibile su un territorio dove il confronto avviene fra la vecchia partitocrazia, ingessata su prese di posizione stantie e immutabili, e un entità nuova, libera di fare ogni scelta senza i vincoli di un passato, troppe volte nebuloso, e senza la paura di interferire con qualche vecchio scheletro nascosto negli armadi.

Tornando al libro, mi sento di aver preso parte alla formulazione dei pensieri e dei sogni che ci sono scritti e di non esserne il semplice narratore. Per questo posso dire di non appartenere a quel movimento (che al tempo stesso non mi appartiene) ma di farne, semplicemente, parte. Lo stesso vale per il libro: ne faccio parte, non mi appartiene.

7. Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?

Almeno tre e credo in questo ordine: Anni beati di Carlo Castellaneta; Con ossequi ciao di Luca Goldoni e Un’aquila nel cielo di Wilbur Smith.
Questi sono certamente i libri che mi hanno portato ad essere un “fondista” della lettura; alla scrittura mi ci ha portato tutto quello che ho letto, niente escluso, ma soprattutto mi ci ha portato, ad un certo punto, l’aver posato il libro che avevo in mano ed essermi guardato intorno. Il resto è venuto da solo; per forza di cose.
Purtroppo le cose che hanno rivoluzionato la mia vita sono state ben altre. Ma questo è un altro discorso.

8. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?

Si sconsiglia qualcosa che può avere effetti collaterali controproducenti e leggere, se fatto con la mente aperta e lo spirito critico acceso, non ha nessuna controindicazione, qualunque cosa si legga.
Premesso ciò, sono consapevole che non si può leggere tutto e allora cito nuovamente Wilbur Smith. Sconsiglio i suoi ultimi romanzi, nei quali ha rimpiazzato il coraggio e l’eroismo dei protagonisti delle saghe dei Courteney e dei Ballantyne con i poteri magici da supereroi dei nuovi personaggi.
Ci sono cose, come certe persone, che è meglio ricordarle com’erano.

9. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…

Cosa ci fai tu qui, in quest’epoca di matti e a quest’incrocio di latitudini e longitudini?
Dopo questa domanda ci sarebbe da sedersi e parlare per una nottata intera. Sarebbe anche la prova che qualcuno ha intuito qualcosa di me, il che, una volta tanto, non guasterebbe.

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Recensione scritta da

Redazione - Recensione Libro.it

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