La redazione del sito Recensione Libro.it intervista lo scrittore Mauro Pergolini, autore del libro “Tre racconti horror”
Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “Tre racconti horror”, cosa diresti?
Domanda non facile, in quanto le tre storie raccolte nel mio libro sono sì horror ma dai tratti eterogenei. Tuttavia, se dovessi provare a “unirle”, così da ricavarne un senso comune più profondo, utilizzerei il primo termine che mi viene in mente, ovvero l’Altro.
L’Altro come pensiero a chi è vittima di situazioni che lo pongono in difficoltà nei confronti di chi lo circonda, talvolta ponendolo in soggezione. Nei miei personaggi domina la voglia di rivalsa, compresi quelli che non svolgono un ruolo da protagonista. Una rivalsa che è sinonimo di giustizia, la quale, in modi più o meno consoni, alla fine trionferà.
Non credo di saper scrivere storie horror unicamente fatte di violenza, ecco perché dietro di esse c’è quasi sempre un messaggio, di conseguenza un senso che, per l’appunto, anche in Tre racconti horror si potrebbe ricercare nella vittoria di chi tale riscatto lo attende da (troppo) tempo, anche a costo della propria vita.
Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a raccontare di male attraverso racconti horror?
Dalla vita di ogni giorno. Da quello che vediamo alla tv e sentiamo alla radio. Soprattutto, da quello che non vediamo alla tv e non sentiamo alla radio, e di cui pochi parlano, se non nessuno.
Ma anche, e soprattutto, dal risveglio di una spiritualità cristiana tramite cui, per paradosso, mi sorge pressoché inevitabile affrontare tematiche legate al male.
Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?
L’esistenza di realtà sottovalutate, troppo spesso nemmeno considerate. Situazioni pronte a esplodere anche per via di ciò che trattiamo come normale, ma che normale non lo è affatto.
Nella postfazione de I cannibali della montagna scrissi che mi sarebbe piaciuto, con la mia piccola opera, dar voce a chi teme di farsi sentire: in verità, non mi sono mai davvero illuso di esserne in grado, ma sarebbe ancora quello il segno che vorrei lasciare.
Cosa ti piace di più di ciò che hai scritto? Una frase, un concetto, l’ambientazione, un personaggio?
Trovo assai difficile citare una frase, considerato io stesso abbia difficoltà a ricordarmi tutto ciò che scrivo! Le ambientazioni del primo e terzo racconto, be’, non sono esattamente ciò a cui alcuno ambirebbe, mentre, per quanto riguarda i personaggi… mi affeziono a quasi tutti loro, ma a Gerardo (La Cosa Strana della Cantina) lo sono forse un pochino di più, sebbene non per le modalità con cui decide di sfogare le proprie pur comprensibili ragioni. Non escludo, anzi, di dare un seguito alla sua vicenda, qualora se ne presenti la possibilità.
Perché pensi che i lettori debbano leggere il tuo libro?
Perché è meglio che comprare un pacchetto di sigarette. Non mi ritengo una persona presuntuosa, ma, in questo caso, voglio arrogarmi tale diritto nel sostenerlo.
Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “Tre racconti horror”, quali useresti?
Coraggioso, in quanto pubblicato da uno sconosciuto e in un (perenne) momento di difficoltà per l’editoria.
Semplice, dato che, seppur intriso di storie profonde e variegate, i suoi attori protagonisti e non sono persone da tutti i giorni. Sarebbero, perlomeno…
Originale, perché, come risposto in una domanda precedente, ho difficoltà a scrivere storie – horror o di altro genere – senza perlomeno cercare di inserire in esse più di un significato, talvolta perfino dei segni nascosti che io stesso avrei difficoltà a riconoscere.
Quale libro hai letto quest’anno che ti ha maggiormente colpito e consiglieresti?
L’Imitazione di Cristo e Racconti di un pellegrino russo, due capolavori che quasi mi vergogno di non aver letto prima. Ho avuto anche il piacere di leggere Conclave, di Robert Harris. Quest’anno ho dedicato molto tempo a letture cristiane o affini, ma se dovessi citarne perlomeno una al di fuori di esse, direi Lo Squalo, di cui avevo soltanto visto il film da bambino. I classici mi piacciono molto, forse perché li trovo di maggiore affidamento.
Adesso è arrivato il momento di porti una domanda che nessuno ti ha mai fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere.
Ti consideri uno scrittore?
No. Non, perlomeno, fino a quando non ci sarà un’effettiva ragione per cui considerarmi tale. Mi dispiace doverlo ammettere, ma una ragione – se non la ragione – sarebbe quella di avere un effettivo ritorno economico capace di garantire qualcosa di più che fare, ogni tanto, la spesa con i soldi guadagnati. La scrittura è passione, certo, ma chi dice che non vorrebbe farne un lavoro a tempo pieno spesso mente sapendo di mentire.
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