Intervista scrittrice Rosanna Mutinelli

Intervista a Rosanna Mutinelli autrice del libro “La culla d'acqua”.
Rosanna Mutinelli
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La redazione del sito Recensione Libro.it intervista la scrittrice Rosanna Mutinelli autrice del libro “La culla d’acqua”

Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “La culla d’acqua”, cosa diresti?

Il senso de La culla d’acqua è la ricerca della libertà come diritto universale, anche quando costa tutto. Attraverso lo sguardo di Hailù, un bambino migrante, il libro racconta la forza della speranza, la dignità nella sofferenza e il bisogno profondo di appartenere a un luogo che non sia solo una terra, ma una possibilità di vita.

Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a scrivere di immigrazione, di detenzione, di viaggio alla ricerca di una vita migliore?

L’ispirazione è nata da un’immagine che non ho mai dimenticato: quella del piccolo Alan Kurdi, il bambino siriano di tre anni ritrovato senza vita su una spiaggia il 2 settembre 2015. Il suo corpo riverso sulla sabbia, simbolo silenzioso della tragedia dei migranti, ha segnato un punto di non ritorno nella mia coscienza. Da quel giorno, l’idea di raccontare una storia come la sua ha cominciato a prendere forma dentro di me. Ho iniziato a documentarmi, leggere, ascoltare testimonianze, raccogliere voci e frammenti di realtà. Quando mi sono sentita pronta, ho dato voce al personaggio di Hailù, un bambino che, come molti bambini, attraversa il dolore e la speranza per cercare una vita migliore.

Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?

Vorrei che i lettori sentissero che dietro ogni numero, ogni notizia, ogni barcone c’è una vita vera, un nome, un volto, un sogno. Vorrei che comprendessero che la migrazione non è solo un fatto politico o sociale, ma una condizione umana che riguarda tutti: il bisogno di libertà, di dignità, di un futuro possibile.
Il segno che desidero lasciare è quello dell’empatia — la capacità di guardare l’altro non come uno straniero, ma come un essere umano che ci somiglia più di quanto crediamo.

Cosa ti piace di più di ciò che hai scritto? Una frase in particolare, un concetto, l’ambiente, una sensazione, un personaggio?

Mi piace Hailù, per la sua capacità di restare luminoso anche nel buio, per la sua forza silenziosa e la tenerezza con cui guarda il mondo nonostante tutto. In lui c’è la purezza dell’infanzia che resiste alla paura, la voce innocente che riesce a dire l’indicibile senza rabbia ma con verità.
Mi piace molto anche sua madre, Senait, perché incarna la dignità e il coraggio delle donne che portano sulle spalle il dolore e la speranza di intere famiglie. È una madre che lotta senza armi, che resiste senza clamore, e che, anche quando tutto sembra perduto, continua a credere nella vita.

Il loro viaggio, pur essendo duro e faticoso, è un elemento che mi ha coinvolta molto: rappresenta la forza dell’essere umano che, nonostante tutto, continua a camminare spinto dal desiderio di libertà. È un percorso di resistenza e di fede, dove ogni passo è una sfida ma anche una speranza. L’ambiente in cui si muovono i personaggi è quello del deserto arido e silenzioso, delle città povere e polverose, fino ai lager libici, luoghi di dolore e privazione. È uno scenario che riflette la durezza della realtà, ma anche la capacità dell’animo umano di non spegnersi, di cercare una luce persino tra le ombre più fitte.
E la sensazione che più mi è rimasta addosso è quella dell’attesa — l’attesa del mare, di una salvezza, di una terra che accolga. Un’attesa che è insieme dolore e promessa, proprio come la “culla d’acqua” che dà il titolo al libro.

Perché pensi che i lettori debbano leggere il tuo libro?

Credo che i lettori dovrebbero leggere La culla d’acqua perché dà voce a chi non ne ha, a chi troppo spesso resta invisibile dietro i numeri e le statistiche. È una storia che non vuole solo commuovere, ma far comprendere: comprendere cosa significhi lasciare tutto, affrontare l’ignoto, rischiare la vita per un sogno di libertà.

È un libro che parla di coraggio, amore e speranza, ma anche di responsabilità umana. Leggerlo significa guardare il mondo con occhi nuovi — quelli di Hailù — e forse riconoscere in lui una parte di noi stessi, quella che ancora crede nella possibilità di un futuro più giusto e più umano.

Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “La culla d’acqua”, quali useresti?

Commovente, coraggioso, necessario.
Commovente perché tocca corde profonde dell’animo.
Coraggioso perché affronta temi difficili con verità e sensibilità.
Necessario perché invita a guardare la realtà con occhi diversi, ricordandoci che dietro ogni storia di migrazione c’è un essere umano.

Quale romanzo hai letto quest’anno che ti ha maggiormente colpito e consiglieresti?

In realtà sono tre i romanzi che mi hanno colpito particolarmente. Il primo è Anna di Niccolò Ammaniti, una storia dura e poetica insieme, che mostra la forza dell’infanzia e la capacità di resistere anche quando il mondo intorno sembra finito. Il secondo è Vox di Christina Dalcher, un romanzo che va dritto allo stomaco per la sua forza provocatoria e la lucidità con cui l’autrice immagina un futuro possibile. Ambientato in un’America distopica dove alle donne è vietato parlare per più di cento parole al giorno, il libro è una potente metafora sulla perdita della libertà e sul controllo sociale. Il terzo è Mille splendidi soli di Khaled Hosseini, un racconto che attraversa il dolore e la resilienza femminile con una potenza emotiva straordinaria. Tutti, seppur diversi, raccontano la forza dell’amore, del sacrificio e della speranza, e soprattutto del coraggio anche nei momenti più bui.

Adesso è arrivato il momento di porti una domanda che nessuno ti ha mai fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere.

Potrebbe essere: Si può perdonare il mondo per le ingiustizie che racconti?
A questa risponderei che non si può perdonare il mondo, ma si può tentare di comprenderlo, anche nelle sue ombre. Scrivendo La culla d’acqua ho capito che il perdono non cancella il dolore, ma lo trasforma; non assolve le ingiustizie, ma permette di non restarne prigionieri.
Non credo di poter giustificare in alcun modo ciò che accade, ma posso scegliere di trasformare la rabbia in voce, di dare significato a ciò che ferisce. In fondo, scrivere è anche questo: un atto di resistenza e, in qualche modo, di amore verso l’umanità, nonostante tutto.

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Recensione scritta da

Redazione - Recensione Libro.it

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