Roberto Bugliani: intervista scrittore

Intervista scrittore Roberto Bugliani.
La disciplina dell'attenzione
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La redazione del sito Recensione Libro.it intervista lo scrittore Roberto Bugliani autore del libro La disciplina dell’attenzione

1. Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro La disciplina dell’attenzione, cosa diresti?

Il senso principale del mio romanzo è racchiuso nel suo titolo: La disciplina dell’attenzione. Il che sta a significare che il lettore stesso è chiamato, mediante una procedura d’estraniamento da ciò che legge, a disciplinare per l’appunto la sua attenzione a fronte delle innumerevoli “trappole” disseminate nel testo, che consistono nelle varie digressioni narrative Spesso nel romanzo una situazione si apre su un’altra, e così via a cerchi concentrici, e lo stesso avviene ai personaggi.

Risultato: le voci si moltiplicano, e personaggi secondari che nel romanzo occupano l’esiguo spazio d’una pagina se non addirittura d’un paragrafo, in quei momenti testuali diventano essi stessi il motore della scrittura. E’ come se alla trama principale che costituisce l’asse portante del romanzo, venissero affiancate via via delle “proposte” narrative, per dir così, che depistano l’attenzione del lettore facendogli intravedere situazioni narrative parallele. Ecco perché il lettore deve disciplinarla la sua attenzione. Ossia tener la bara dritta, come si dice.

2. Da dove nasce l’ispirazione per questo romanzo stravagante che parte da una crisi esistenziale e un viaggio?

Almeno in parte, l’ispirazione a scrivere questo romanzo “stravagante”, come dici tu (lo trovo azzeccato questo aggettivo: extra-vagante), è venuta dai miei stessi viaggi. Per un insieme di ragioni che sarebbe noioso elencare, mi sono trovato, a un certo punto della vita, a viaggiare spesso in un piccolo paese latinoamericano che fa da cornice alla storia narrata nel romanzo.

Questo paese non lo nomino mai, ma le descrizioni che faccio dei luoghi, degli ambienti, delle vie o delle piazze delle sue città, e della capitale in particolare, sono realistiche al 100%, perché il paese l’ho conosciuto molto bene. Naturalmente i personaggi sono frutto di fantasia (anche la finzione vuole la sua parte), ma certe situazioni con cui li faccio confrontare appartengono alla storia recente di quel paese.

3. Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?

Un romanzo “aperto” come ritengo essere La disciplina dell’attenzione si basa su una molteplicità di punti di vista e una polifonicità di voci che aprono, appunto, sulla relatività di qualsiasi verità, sia letteraria che extra-letteraria. E questo non è un messaggio – personalmente non amo i messaggi, né in bottiglia né sulla pagina, ma è la condizione stessa di esercizio di certa letteratura, nel cui solco il mio romanzo si colloca.

Quindi ciò che mi piacerebbe lasciare come segno nel lettore è la consapevolezza che oltre al “mondo” in cui io e lui viviamo quotidianamente, esistono altri mondi, ossia altre culture strutturate in società, che non sono riducibili al nostro né assimilabili da esso. Questo concetto è stato espresso molto bene dagli zapatisti messicani, quando dicono di volere “un mundo donde quepan muchos mundos”, ossia un mondo che contenga molti altri mondi.

4. C’è qualcosa che Roberto Bugliani avrebbe voluto aggiungere al libro, quando lo ha letto dopo la pubblicazione?

Aggiungere direi di no, anche perché l’ultima operazione che ho fatto sul libro prima di congedarlo è stata l’amputazione di tre capitoletti. Semmai vorrei aggiungere al prodotto finito qualche rituale scaramantico per dargli la buena suerte, perché la fortuna è un valore aggiunto fondamentale per un romanzo.

5. Se Roberto Bugliani dovesse utilizzare tre aggettivi per definire Le facce della menzogna, quali userebbe?

La prima faccia è subdola, la seconda adescatrice, la terza spudorata. E se posso aggiungerei un quarto aggettivo, a mo’ di compendio: vittoriosa.

6. Perché credi si debba leggere il tuo libro?

Mah, io lo leggerei per le piccole follie stilistiche che si concede, per le sfilacciature della trama che fanno intravedere altre situazioni, altre possibilità tematiche o narrative, per la sua struttura ciclica, per la pluralità dei punti di vista. Ossia per le ragioni per cui di solito il lettore avvezzo ai romanzi dalle trame scorrevoli, lineari, ben levigate non legge un romanzo di questo tipo.

Seconda parte intervista

7. Qual è il romanzo che hai letto e ti ha più colpito emotivamente in quest’ultimo anno?

Ho terminato da poco un romanzo che avevo acquistato molti anni fa e che per una ragione o per l’altra mai ero riuscito a leggere. Si tratta di Tre tristi tigri del cubano Guillermo Cabrera Infante. Sapevo che era un romanzo importante, ma non pensavo che la sua lettura mi affascinasse a tal punto da togliermi il fiato. Il lettore che ama le digressioni lì troverà pane per i suoi denti. Ed è inutile dire che io adoro le digressioni. Per ceri versi, mi ha ricordato un romanzo la cui lettura ritengo sia imprescindibile per uno scrittore, il Tristram Shandy di Laurence Sterne. Un Tristram Shandy caraibico, insomma.

8. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?

I libri che mai consiglierei a qualcuno, fosse anche il mio peggior nemico, come si suol dire, sono così tanti e in cattiva compagnia che accanirsi su uno in particolare mi parrebbe oltremodo ingiusto. Per dirla in altro modo, si tratta grosso modo di oltre il 90% dell’annuale produzione letteraria mondiale.

9. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…

Beh, vorrei pormi la domanda delle domande: perché scrivo? E la risposta è semplice: non lo so. Non me l’ha prescritto il medico, come si dice, né lo scrivere mi ha fatto tirare quattro (quattro? me ne sarebbe bastata una) paghe per il lesso, come dice Carducci in Davanti a San Guido. Quindi, lo scrivere mi sarebbe attività superflua, o quanto meno irrisoria. E invece, e benché apparentemente a latere, la scrittura è per me atto (lo preferisco ad “attività”) centrale della giornata, di cui avverto pungente la necessità quando passo un po’ di tempo senza scrivere. Il rimedio? Prendere carta e penna, si diceva una volta, e oggi: aprire una pagina word. O OpenOffice, nel mio caso.

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Recensione scritta da

Redazione - Recensione Libro.it

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