La redazione del sito Recensione Libro.it intervista lo scrittore Claudio Bravi autore del libro “L’urna di Var”
Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “L’urna di Var”, cosa diresti?
Direi che si tratta certamente di un romanzo di formazione, cioè la storia di un viaggio per i due protagonisti che produce una progressiva presa di coscienza, relativa al senso delle relazioni interpersonali ma anche più in generale al senso della vita stessa. Sebesté e Gen-lì, affrontando insieme una serie di ostacoli e difficoltà, maturano una reciproca fiducia e un sentimento di solidarietà che non li abbandonerà più. Anche il contesto non è casuale e, se richiama certi stereotipi, lo fa scientemente perché quelli sono la materia dinamica della storia umana.
Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a scrivere questa storia che pone al centro l’uomo e i legami?
Direi che non c’è una fonte unica di ispirazione e del resto il romanzo di formazione è forse il più praticato dei generi letterari, e questo vale anche per il fantasy e la fantascienza. Diciamo che il mio primo desiderio era quello di sentirmi libero da qualsiasi costrizione e dunque poter inventare, o riproporre, qualsivoglia ambiente mi venisse in testa senza dovermi preoccupare della verosimiglianza o della credibilità. Per il resto tutti i miei personaggi sono più che umani, al di là delle caratteristiche che li identificano come abitanti di un mondo alieno presentano vizi e virtù non diversi dai nostri. In ogni caso, più che i maestri del genere Fantasy, scrivendo l’Urna di Var, io avevo in mente Jules Verne, H.G. Wells o la stessa Mary Shelley.
Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?
Non sono affatto certo di riuscire a lasciare alcun segno perché oggi la lettura è qualcosa di poco frequentato e, quando succede, il lettore è spesso alla ricerca di qualcosa che somigli il più possibile ai prodotti televisivi o cinematografici. Io ho cercato di dare una certa importanza alla lingua, ho cercato un registro narrativo che fosse in qualche misura abbastanza classico e quindi non so (sinceramente non so!) se esistono lettori che ancora intendano soffermarsi sul testo per apprezzare lo sforzo autoriale che emerge dalle parole.
Cosa ti piace di più di ciò che hai scritto? Una frase in particolare, un concetto, l’ambiente, una sensazione, un personaggio?
Uno dei personaggi che mi è piaciuto di più costruire è quello della guardia carceraria Kilar-du: un gigante ingenuo e saggio al tempo stesso, una di quelle creature che non fanno altro tutta la vita che aspettare qualcuno che si accorga di loro. La sua riflessione nell’attimo della morte è uno dei miei brani preferiti.
Perché pensi che i lettori debbano leggere il tuo libro?
Non penso che lo debbano leggere, ma credo che lo possano leggere e indipendentemente dal fatto che siano cultori o meno del genere. In fondo è una storia di “pensanti” come tante, vi succedono cose un po’ particolari ma nell’insieme la storia è pur sempre quella di un tale che incontra altri come lui o diversi da lui e che in qualche misura si pone il problema del vivere. In altre parole nei romanzi che leggiamo ci siamo pur sempre noi con i nostri problemi, le nostre ansie, le nostre paure, illusioni, speranze. Cerchiamo di ricavare da essi una qualche indicazione che ci aiuti a comprendere il mondo e noi stessi.
Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “L’urna di Var”, quali useresti?
Questa è una domanda da un milione di dollari! Vediamo: corposo ma non lungo, illustrato con cura, non privo di ironia.
Quale romanzo hai letto quest’anno che ti ha maggiormente colpito e consiglieresti?
Leggo pochi romanzi perché la saggistica mi affascina di più. In tutti i modi l’ultimo libro che ho letto è La Musica è pericolosa, di Nicola Piovani (La Nave di Teseo), si tratta della riedizione di un testo già pubblicato 10 anni fa ed è un quasi-romanzo cioè la storia del rapporto tra l’autore che ovviamente è un noto compositore, soprattutto di musiche da film, e la musica stessa. Nel libro si racconta la complessità del rapporto tra uomo e musica e al tempo stesso se ne sottolinea la ricchezza.
Adesso è arrivato il momento di porti una domanda che nessuno ti ha mai fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere
Avrei desiderato (forse) che qualcuno mi chiedesse se ha senso ancora raccontare storie quando ne esistono centinaia di migliaia, milioni di già raccontate. Avrei risposto che ha sempre senso raccontare storie perché in ciascuna c’è un che di ultimo e di nuovo.
Per informazioni e acquisto libro: Libraccio.