La redazione del sito Recensione Libro.it intervista lo scrittore Domenico Caporusso autore del libro “Una verità quasi perfetta”
1) Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “Una verità quasi perfetta”, cosa diresti?
È la storia di una verità che sembra limpida ma, guardata da vicino, si sbriciola in fragilità e ombre. Un’indagine non solo poliziesca ma soprattutto interiore: capire chi siamo mentre cerchiamo la verità degli altri. Perché la verità è sempre parziale, soggettiva e, spesso, la prima bugia la raccontiamo a noi stessi.
2) Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a scrivere di ricerca della verità attraverso un noir?
L’ispirazione nasce dalla mia vita. In questo senso, il libro ha un carattere fortemente autobiografico. Ho sempre avuto dentro di me il bisogno di confrontarmi con i concetti di verità e di giustizia, e la convinzione che la verità sia qualcosa da inseguire senza sosta. Tutti, inevitabilmente, diciamo bugie; ma quando le rivolgiamo a noi stessi diventano la forma più subdola e pericolosa di inganno. È proprio da questa tensione, da questa ricerca continua della verità che accompagna la mia vita, che è nato il desiderio di scriverne attraverso il linguaggio del noir, il genere che più di ogni altro riesce a esplorare le ombre e le ambiguità dell’animo umano.
3) Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole?
Vorrei che comprendessero la complessità dell’animo umano, il peso delle scelte, ma anche la fragilità che ci accomuna. Che la vita non è fatta solo di certezze, ma anche di dubbi, esitazioni e silenzi. Mi piacerebbe che i lettori riconoscessero nelle mie pagine una parte di se stessi, magari qualcosa che non avevano mai avuto il coraggio di guardare fino in fondo. Se, chiudendo il libro, sentiranno il bisogno di interrogarsi non solo sulla storia ma anche su se stessi, allora avrò raggiunto il mio obiettivo.
4) Quale segno vorresti lasciare in loro?
Vorrei che restasse l’idea che le emozioni non vadano mai cancellate, nemmeno quelle dolorose. Spesso pensiamo che soffocarle o dimenticarle sia un modo per proteggerci, ma in realtà sono proprio quelle emozioni a costruire ciò che siamo. Conservarle dentro di noi, accettarle, significa imparare a vivere meglio il presente e a capire più a fondo noi stessi. Perché, in fondo, siamo il risultato di tutto quello che abbiamo provato, nel bene e nel male.
5) Cosa ti piace di più di ciò che hai scritto? Una frase in particolare, un concetto, l’ambiente, una sensazione, un personaggio?
Quello che ho amato di più è che mi sono affezionato a tutti i personaggi, perché dietro ognuno di loro c’è un frammento di realtà, persone che ho conosciuto e che ho voluto raccontare in versione romanzata. Sarebbe troppo facile dire che il personaggio a cui mi sono affezionato di più è Enrico, che nella vita reale è il mio migliore amico, e in parte il libro è anche un omaggio alla nostra amicizia. Ma a colpirmi in modo particolare sono state due figure marginali, quasi delle comparse: la ragazza della palestra e la barista dagli occhi diversi. Non le conosco, non ci ho mai parlato, ma mi è bastato vederle per sentire un’emozione forte, tanto da volerle inserire nella storia, anche solo in maniera laterale. Forse, però, la cosa più bella in assoluto è stata accorgermi che, durante la scrittura, osservavo il mondo con occhi diversi: con più attenzione,
più intensità. È come se, in quel periodo, avessi vissuto tutto in maniera più profonda.
6) Perché pensi che i lettori debbano leggere il tuo libro?
Perché è un libro che può far riflettere chiunque. Non lo identificherei in un genere preciso, né lo vedo adatto solo a un tipo di lettore. Credo che tutti, prima o poi, sentiamo il bisogno di fermarci e riflettere sulla nostra vita, sulle scelte che facciamo ogni giorno. Anche non scegliere, o non cambiare, è comunque una scelta. E spesso queste riflessioni tendiamo a soffocarle. Il libro prova a riportarle alla luce, offrendo uno spunto per guardarsi dentro.
7) Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “Una verità quasi perfetta”, quali useresti?
Direi: intimo, perché nasce da esperienze ed emozioni molto personali; inquieto, perché attraversa dubbi, ombre e domande senza risposte; e rivelatore, perché cerca di svelare non solo la verità della storia, ma anche qualcosa di nascosto dentro ciascuno di noi.
8) Quale romanzo hai letto quest’anno che ti ha maggiormente colpito e consiglieresti?
Quest’anno ho letto Il passato è una terra straniera di Gianrico Carofiglio. In realtà, ho letto quasi tutto di lui: dalle storie dell’avvocato Guerrieri a Penelope Spada, fino al maresciallo Fenoglio.
Carofiglio è probabilmente il mio autore preferito e, senza dubbio, quello che più di tutti mi ha spinto a provare a esprimermi attraverso la scrittura. Non consiglierei un titolo in particolare, ma l’opera di Carofiglio nel suo insieme, perché ogni suo libro riesce a suscitare emozioni autentiche e riflessioni profonde. E poi credo che in generale leggere sia sempre un arricchimento: più si legge, meglio è, anche se oggi purtroppo sembra esserci sempre meno tempo per farlo.
9) Adesso è arrivato il momento di porti una domanda che nessuno ti ha mai fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere.
Ho sempre sognato di ricevere una domanda in stile marzulliano, tipo “fatti una domanda e datti una risposta”. La domanda potrebbe essere: “Scriverai un altro libro?” Nessuno me l’ha ancora chiesto, anche perché questo è appena uscito, e la verità è che non so rispondere ora. Se troverò l’ispirazione, lo farò volentieri, perché credo che la scrittura sia uno dei modi più profondi e sublimi per esprimere ciò che abbiamo dentro. È anche un modo per sfogarsi e per allontanarsi un po’ dalla quotidianità. Oggi siamo quasi ossessionati dalla forma fisica e dall’aspetto estetico, spinti da canoni standardizzati che non trovo sbagliati in sé. Ma se non ci prendiamo cura anche del nostro animo rischiamo di inaridirci. E io penso che scrivere sia la migliore palestra possibile per il nostro spirito.
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