Intervista scrittrice Micol Salute

Intervista autrice Micol Salute.
Mille gru di carta di Micol Salute
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La redazione del sito Recensione Libro.it intervista la scrittrice Micol Salute autrice del libro “Mille gru di carta”

Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “Mille gru di carta”, cosa diresti?

Che si può riprendere in mano la speranza, anche quando la routine ci annienta, che si può farci del bene e comprendere gli altri allo stesso tempo, senza per forza ribaltare la propria vita per trovare la felicità. Spesso, infatti, tutto sta nel punto di vista con cui leggiamo la realtà.

Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a raccontare di come la quotidianità possa schiacciare e quanto sia importante guardarsi dentro per trovare la felicità?

In realtà, per quanto banale questo possa essere, l’ispirazione è nata da me. Guardandomi allo specchio, insoddisfatta di tutto, presa dal panico e dal senso di oppressione, mi sono chiesta se davvero fosse un problema solo mio. Però più mi guardavo intorno ed ascoltavo le persone intorno a me e più mi rendevo conto che, a livelli diversi, tutti ci annulliamo per ciò che è “corretto” avere e volere. Il lavoro fisso, la famiglia, i figli, l’attenzione per i genitori, tutto. Qualsiasi cosa può essere una ragione per sentirsi schiacciati sotto dei pesi che spesso non vogliamo, ma ci tocca sorreggere perché è giusto che sia così.

Quello che non capivo soprattutto era la narrazione moderna, a tratti ego-centrica, di mollare tutto e farsi solo del bene. Ma, là fuori, ci saranno state persone come me che non possono permettersi di mollare tutto? Che non possono perdere persone di supporto o. che non vogliono litigare con il mondo e sfidare tutto e tutti? Secondo me sì. Perché cosa succede quando non è così facile mandare tutto a quel paese e vivere di sogni e risate senza dare retta a nessuno? Si resta ad annegare nell’insoddisfazione? Non ho voluto crederci. Certo, tenere insieme i pezzi delle poche cose – spesso rotte – che abbiamo è molto più difficile. Però se le vogliamo tenere con noi un motivo deve pur esserci.

Magari anche di “comodo”, come nel caso di non allontanare familiari scomodi perché ci servono per poter conciliare figli e lavoro, oppure l’avere rapporti con fratelli e sorelle molto pesanti, perché proviamo comunque dei sentimenti buoni per loro. Ecco, proprio qui è nata l’idea. Può una donna, già penalizzata di suo, ancor di più nel sistema moderno giapponese, trovare sé stessa mentre è anche madre e figlia? Può non perdere niente, ma riacquistare la voglia di sognare? Forse sì. Questa è la risposta che ho trovato. Ci serve tempo, pazienza e una guida che ci prenda per mano e non ci lasci cadere nel baratro di quelle depressioni silenziose, che si nascondono dietro ai sorrisi di circostanza. Ma se cambiamo la nostra chiave di lettura del mondo, cambiamo anche il nostro universo interno.

Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?

Vorrei che i lettori comprendessero la complessità della lotta interiore che molti affrontano, bilanciando aspettative e autenticità. Desidero trasmettere l’importanza della resilienza e della ricerca della propria forza interiore, simboleggiata dalle mille gru come piccole azioni costanti verso il cambiamento. È cruciale anche il messaggio sul valore dei legami umani e del supporto inaspettato.

Il segno che vorrei lasciare è duplice: una sensazione di riconoscimento e di non sentirsi soli nelle proprie vulnerabilità, e un senso di speranza attiva e di *empowerment, la consapevolezza che la propria autenticità è una forma di resistenza preziosa per costruire un futuro passo dopo passo.

Cosa ti piace di più di ciò che hai scritto? Una frase in particolare, un concetto, l’ambiente, un personaggio?

Tra le molte cose, la frase che credo avrei amato di più scrivere in “Mille gru di carta” è quella che Kyo – che è anche il personaggio che più ho amato strutturare – sussurra ad Aiko:
“Le parole giuste non esistono, Aiko. Esistono solo le tue parole. E se non riesci a parlare di persona, scrivi. A volte, la distanza della carta permette al cuore di avvicinarsi.”
Mi piace perché racchiude diversi elementi centrali del romanzo e dell’esperienza umana. Innanzitutto, è un invito potente a trovare la propria voce e autenticità, superando le paure e le convenzioni. In un contesto giapponese, dove spesso la comunicazione è indiretta e rispettosa delle gerarchie sociali, la necessità di esprimersi, anche attraverso la scrittura, diventa un atto di coraggio e liberazione.

Il riferimento alla “distanza della carta” non è solo poetico, ma profondamente simbolico in un libro intitolato “Mille gru di carta”. L’origami stesso è un’arte che trasforma un semplice foglio in un simbolo di speranza e desiderio. Questa frase suggerisce che la scrittura – il piegare la carta della propria anima – può creare un ponte invisibile verso gli altri, permettendo di esprimere ciò che a voce è troppo difficile, come Aiko fa nel suo diario.
Per quanto riguarda i concetti ce ne sono tantissimi che ho amato fin dal principio, anche perché il contesto sociale e le pressioni per le donne in Giappone sono particolari e più se ne legge, più affascinano. Almeno per me è così!
E, in ultimo, ma non per importanza, le ambientazioni sono state tutte scelte con cura. Ricercate per ragioni specifiche ed esplorate con qualsiasi mezzo digitale avessi a disposizione, essendo impossibilitata a recarmici nell’immediato. Tutto ciò che è stato scelto e visualizzato ha un suo senso, e tutto ha anche dentro una parte di me, di Aiko e di Kyo.

Seconda parte intervista

Avresti voluto aggiungere qualcosa al libro, quando lo hai letto dopo la pubblicazione?

Sì, assolutamente! Ho terminato la mia ultima stesura di Mille Gru Di Carta nell’estate 2024, proprio all’inizio. Nel tempo che è intercorso per la lettura del visto si stampi ho studiato molto ed ho ultimato il mio secondo romanzo – adesso in editing – e iniziato la stesura del terzo di cui già avevo la scaletta. Ho frequentato corsi e ancora oggi sono in evoluzione continua nel mio modo di scrivere e di desiderare il testo finito. Quindi avrei sicuramente inserito più ritmo, spezzato un po’ di più le riflessioni, magari facendolo diventare anche un po’ più lungo. Chissà. In realtà dopo diverse riletture mi va benissimo com’è.

Sì, è vero, adesso lo scriverei in un modo tecnicamente diverso, sicuramente più curato e con una struttura più solida. Ma resta il fatto che quello è il mio esordio, nato da una necessità urgente di far arrivare ad altre persone dei messaggi. L’ho scritto con cura, dedizione, studio e pazienza. Ho lottato contro tutti i miei blocchi per scegliere di inviarlo e per la paura di essere “troppo poco” ho persino scelto di avere l’appoggio di un piccolo editore, ma di cui ho sentito di potermi fidare. Ho avuto il supporto che temevo di non avere entrando subito in realtà editoriali più complesse, sono stata introdotta alla creazione del prodotto finito con calma e pazienza.

In questo il mio editore, Alessandro, è stata una presenza davvero costante e paziente. Ha scommesso sul mio romanzo e mi ha fatto credere che meritasse una possibilità. Quindi forse no, non cambierei nulla, perché l’ho scritto in un momento in cui la mia prosa era quella ed è da quella che sono arrivata ad oggi. Probabilmente l’unica cosa che davvero avrei voluto aggiungere, dopo la pubblicazione, è un po’ più di sicurezza nella testa dell’autrice, che avrebbe giovato anche al libro stesso… ma questa è un’altra storia!

Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “Mille gru di carta”, quali useresti?

Sicuramente lo definirei introspettivo.
Il romanzo vuole scavare a fondo nella parte più profonda della lotta interiore di Aiko, che si confronta con il suo senso di smarrimento e la ricerca della propria autenticità in un mondo di aspettative.
La narrazione è un viaggio nella sua psiche, esplorando ansie, insicurezze e il desiderio di “non far finta di essere qualcuno che non sono”.

Direi anche che un altro aggettivo calzante sia simbolico, dato che la narrazione è intrisa di simboli, primo fra tutti quello delle mille gru di carta e, sul finale, del senbazuru da esse formato.
Questo è un elemento della cultura giapponese che rappresenta la pazienza, la speranza e la realizzazione dei desideri attraverso un impegno costante. Anche il gatto Kyo agisce come figura simbolica, un “ponte tra ciò che temevo di essere e ciò che potevo diventare”, guidando Aiko verso la comprensione di sé.

Credo che possa definirsi anche trasformativo, perché di fatto la storia di Aiko è un percorso di radicale trasformazione, da una condizione di “apnea” e distacco a una di ritrovata vitalità. Non si tratta solo di resistere, ma di un processo attivo in cui “ogni ferita, ogni rimorso, è stato trasformato in qualcosa di diverso, qualcosa di più leggero”, portandola a “costruire qualcosa di diverso. Non perfetto, ma vero” e a trovare la propria voce autentica.

Perché credi si debba leggere il tuo libro?

Credo che leggere “Mille Gru Di Carta” offra un’immersione profonda nella lotta per l’autenticità della protagonista Aiko, un tema universale amplificato dal contesto delle stringenti aspettative sociali giapponesi, ma che di fatto reputo applicabile a la stragrande maggioranza delle persone.

Il libro è un inno alla resilienza, termine forse fin troppo sdoganato al giorno d’oggi. Ma qui cerco di parlare della resilienza vera, di chi vuole restare, rimettersi in piedi e tenere insieme quel che ha, non di chi resiste mirando solo al proprio benessere e “calpestando tutto”. Non che sia giusto o sbagliato, ma non è quello che spesso è realizzabile nei fatti.

Ho scelto di utilizzare il potente e tradizionale simbolo delle mille gru di carta (e del senbazuru) per mostrare come piccoli gesti costanti possano portare a grande speranza e trasformazione. Perché, forse, il ritmo della vita ci ha fatto perdere di vista la necessità della lentezza e dell’attesa. Della costruzione e della pazienza. La narrazione è arricchita dalla figura del gatto Kyo, un “shugorei” (spirito guardiano) che funge da guida inaspettata, aiutando Aiko a non sentirsi sola e a riconoscere la propria forza interiore. Forse nella realtà non arriverà da noi nessuno spirito guida, ma a volte abbiamo vicino persone – o dentro di noi delle piccole voci – che ogni giorno tentano di portarci sulla giusta strada. Sta a noi ascoltarle e farne tesoro.

Il segno che desidero lasciare nel lettore, e per cui credo possa essere una lettura interessante, è proprio un senso di riconoscimento nelle proprie vulnerabilità e l’ispirazione a trovare una speranza attiva per “costruire qualcosa di diverso. Non perfetto, ma vero”. Perché tutti abbiamo bisogno di cose vere.

Quale romanzo hai letto quest’anno che ti ha maggiormente colpito e consiglieresti?

Bella domanda. Il mio problema è che io leggo di tutto, ma davvero passo da un genere all’altro senza grossi problemi. Ultimamente mi sto persino spostando verso la lettura del giallo all’italiana, perché effettivamente non ne ho una vasta conoscenza, ma reputo che una scrittrice debba studiare la struttura – e quindi anche leggere – ogni genere possibile, così da conoscerlo almeno sommariamente. Comunque, potremmo dire che i miei generi “preferiti” si orientano tra la narrativa (soprattutto Giapponese e SudCoreana), il fantasy, il romance e il distopico.

Poi ovviamente potremmo includere tutti i loro sottogeneri e ibridi (come il romantasy). Certo è che la maggior parte delle letture sono di autrici e autori giapponesi e coreani, e sicuramente uno dei testi che quest’anno mi ha più colpita e che consiglierei è “Atti Umani”, di Han Kang. Ne consiglio la lettura nonostante voglia precisare che sia difficile e complicata, e non perché la prosa sia troppo aulica o simili.

“Atti umani” è crudo nella sua realtà e ci racconta una Corea degli anni Ottanta in cui un colpo di stato ha dato il via a cose disumane, ma che – appunto – sono stati atti umani e non di mostri. In Occidente non arrivano mai le realtà dei paesi orientali, né del presente né del passato, ma la storia è importante sempre. Senza limiti geografici. E va compresa, perché non si ripeta.

Adesso è arrivato il momento di porti una domanda che nessuno ti ha mai fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere

Ecco, questa è la domanda più complicata di tutte quelle di quest’intervista. In realtà sono poco abituata a sentirmi fare domande, ma una cosa che – paradossalmente – nessuno mi ha mai chiesto di persona, quindi non all’interno di corsi o workshop, ma tra persone in contesti informali, è: perché vuoi fare la scrittrice? Oppure, perché scrivi?

Ed io la risposta l’ho sempre avuta pronta, lì ferma nella mia testa. Perché quando qualcuno me la farà, magari ad una cena, o perché no in altri contesti che non siano formali e dedicati alla scrittura in sé, potrò finalmente rispondere: scrivo (e voglio fare la scrittrice) perché voglio che più persone possibili mi leggano.
Sembra una risposta banale, vero? Però in realtà è proprio ciò che voglio. Vorrei che più persone possibili possano leggere tutto il casino che c’è nella mia testa, nella mia fantasia. Tutte le domande a cui voglio dare risposta attraverso la narrazione. Tutte le situazioni in cui vorrei far immergere il lettore così come mi ci immergo io, tutti i miei deliri in cui parlo con i personaggi che invento… insomma, vorrei avere tantissimi “amici”, sparsi per il mondo, che leggano i miei libri e che provino delle emozioni nel farlo. E lo desidero da quando ero davvero molto piccola, perché a me i libri hanno regalato molto più delle persone, in tanti momenti bui.

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Redazione - Recensione Libro.it

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