Intervista scrittrice Sarah Grisiglione

Intervista autrice Sarah Grisiglione.
Sarah Grisiglione
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La redazione di RecensioneLibro.it intervista Sarah Grisiglione autrice del libro “Autopsia di un dolore”

Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “Autopsia di un dolore”, cosa diresti?

È un viaggio dentro ciò che resta quando tutto sembra perduto: un’indagine sulla memoria emotiva del dolore, sulle verità che il corpo conserva quando la mente non può più raccontarle.

Autopsia di un dolore non parla solo di sofferenza, ma della possibilità di rinascere da essa, imparando a guardare le proprie ferite come mappe, non come condanne.

Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a raccontare di verità taciute, di dolori e grovigli della mente?

Nasce dal mio lavoro, ma prima ancora dalla mia natura: ho sempre sentito il bisogno di dare voce a ciò che resta nascosto, alle emozioni che non trovano linguaggio. L’inconscio mi ha sempre affascinata: è come un archivio sommerso di verità non dette, e scrivere è per me una forma di esplorazione, una terapia simbolica.

Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?

Vorrei che comprendessero che non esiste dolore inutile. Che ogni ferita, anche quella più antica, può trasformarsi in conoscenza, in consapevolezza, in libertà. Mi piacerebbe che, chiudendo il libro, il lettore sentisse di aver attraversato qualcosa di proprio, non solo mio.

Cosa ti piace di più di ciò che hai scritto? Una frase, un concetto, l’ambientazione, un personaggio?

Mi piace la sincerità. Il coraggio con cui ho lasciato che la vulnerabilità avesse voce. Forse amo più di tutto l’atmosfera sospesa, quasi clinica e poetica insieme, dove ogni personaggio diventa una metafora della mente. E sì, amo certe frasi che sembrano sussurri più che dichiarazioni, quelle che arrivano dritte, senza rumore.

Perché pensi che i lettori debbano leggere il tuo libro?

Perché parla di ciò che tutti, prima o poi, attraversano: la perdita, la colpa, il bisogno di capire. È un libro che non consola, ma accompagna. Non offre risposte, ma domande nuove — e a volte, sono proprio le domande a salvarci.

Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “Autopsia di un dolore”, quali useresti?

Intimo. Lucido. Necessario.

Quale libro hai letto quest’anno che ti ha maggiormente colpito e consiglieresti?

La levatrice di Bibbiana Cau. Mi ha colpito la capacità dell’autrice di intrecciare la vita e la morte con una delicatezza disarmante, restituendo alle donne la dignità del loro dolore e la potenza silenziosa del loro coraggio. È un romanzo che parla di nascita e perdita con lo stesso respiro, come se ogni inizio avesse già in sé la memoria della fine.

Adesso è arrivato il momento di porti una domanda che nessuno ti ha mai fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere.

Forse mi sarebbe piaciuto che qualcuno mi chiedesse: “Cosa hai scoperto di te stessa scrivendo questo libro?” E risponderei: ho scoperto che il dolore non è un nemico da estirpare, ma un maestro silenzioso da ascoltare. E che la scrittura, quando è autentica, è una forma di resurrezione.

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Recensione scritta da

Redazione - Recensione Libro.it

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