Intervista scrittrice Valeria Ricotti

Intervista autrice Valeria Ricotti.
Valeria Ricotti
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La redazione del sito Recensione Libro.it intervista la scrittrice Valeria Ricotti autrice del libro “Il ponte vermiglio”

Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “Il ponte vermiglio”, cosa diresti?

È un viaggio dentro e fuori di sé. Il ponte vermiglio racconta la crisi di Andreas, un biologo londinese che, spogliato delle certezze su cui aveva costruito la propria identità, si ritrova improvvisamente senza direzione.

Quando incontra Carol — una donna enigmatica e connessa al proprio mondo interiore — ne resta affascinato al punto da decidere di seguirla su un’isola fuori dal tempo, sospesa tra simbolo e realtà.
Lì, immerso nella natura e guidato dalle pratiche orientali, Andreas inizierà un percorso tanto interiore quanto avventuroso, che lo spingerà oltre i propri limiti e lo condurrà a riscoprire un senso dell’esistenza più autentico.

È un romanzo di metamorfosi, in cui il dolore diventa passaggio, la scienza si intreccia con la spiritualità, e l’intuizione diventa la bussola di una rinascita interiore.

Da dove nasce l’ispirazione che ti ha spinto a compiere un viaggio all’interno del protagonista per raccontare una storia di cambiamento?

Nasce dal desiderio di esplorare tematiche che non sempre trovano spazio nel mio ambito professionale di medico, ricercatrice e imprenditrice. Il percorso del protagonista rappresenta ciascuno di noi: tutti, prima o poi, attraversiamo momenti di crisi che ci costringono a rimettere in discussione chi siamo e cosa vogliamo davvero.

Nel romanzo – come nella vita reale – le difficoltà non sono ostacoli fini a sé stessi, ma occasioni di risveglio, di crescita. Volevo raccontare come il cambiamento non è solo qualcosa che accade, ma qualcosa che possiamo scegliere — se impariamo ad abitare pienamente la nostra mente e ad ascoltare le nostre emozioni con coraggio e attenzione.

Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?

Vorrei che comprendessero che la crisi non è una fine, ma una soglia. E che pratiche e filosofie orientali, così come le medicine complementari, non sono in opposizione alla scienza, ma la completano — ampliandone lo sguardo, arricchendola di profondità e nuove prospettive. E che dentro ciascuno di noi esiste una voce — forse dimenticata o messa da parte — che sa guidarci con sorprendente chiarezza.

Il segno che vorrei lasciare è una sensazione sottile, come un’eco: che qualcosa di importante si sia risvegliato. E, infine, che non serve trovarsi nel mezzo di una crisi esistenziale né fuggire su un’isola remota per avviare un cambiamento o una presa di coscienza. A volte basta fermarsi. Ascoltare. E lasciarsi attraversare da una nuova possibilità.

Cosa ti piace di più di ciò che hai scritto? Una frase in particolare, un concetto, l’ambiente, un personaggio?

La tematica che funge da filo conduttore del libro è che siamo noi gli artefici del nostro destino. Un’idea che ho voluto esplorare attraverso la narrazione, intrecciandola alle esperienze e alle voci dei personaggi.

Infatti questo tema ritorna più volte nel romanzo, filtrato da prospettive diverse: dalla magnifica Carol, che accompagna Andreas sull’isola e lo guida in un viaggio di trasformazione interiore, al saggio Cherokee Danuwa, che sulla spiaggia, con un passato che pesa, gli dice: “Andreas, nei miei anni di vagabondaggio ho capito una cosa molto importante: noi siamo i creatori della nostra realtà”. C’è poi l’imprenditore giapponese, Mr Myomoto, che gli apre uno spiraglio sul pensiero orientale, e Mayana la sciamana cieca ma capace di vedere, che gli rivela: “Hai partecipato alla forza stessa della creazione. L’energia della creazione è una, ma la sua espressione ha infinite sfaccettature.” E infine… il gatto. Sì, c’è anche un gatto. E ascoltiamo i suoi pensieri attraverso Andreas. In modo sornione, sembra volergli dire — e dirci — che forse molti dei nostri problemi… ce li complichiamo da soli.

Elaboro la temantica anche da una prospettiva neuroscientifica nel mio blog, dove racconto come la mente possa essere allenata a riconoscere — e quindi trasformare — i propri schemi di pensiero automatici.

Per maggiori informazioni visita il sito della scrittrice.

Avresti voluto aggiungere qualcosa al libro, quando lo hai letto dopo la pubblicazione?

In realtà no… ma in molti mi chiedono di scrivere un seguito! 🙂
Il ponte vermiglio lascia aperto un passaggio. Molte domande restano volutamente sospese, proprio come accade nella vita. Chissà, magari qualcuna troverà risposta in una nuova storia…

Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “Il ponte vermiglio”, quali useresti?

Metafisico, Visionario, Trasformativo

Perché credi si debba leggere il tuo libro?

Perché, con un linguaggio immediato, “Il ponte vermiglio” affronta temi che riguardano ciascuno di noi: l’amore — nelle sue forme più complesse, dalla coppia al rapporto tra genitori e figli —, la malattia, la sofferenza, ma soprattutto la percezione della realtà.

Perché ci invita a riflettere su come vediamo, o evitiamo di vedere, ciò che ci accade, e su quanto potere abbiamo, spesso senza saperlo, nel modellare la nostra esperienza.
E poi… perché ci sono paesaggi mozzafiato, descritti proprio durante la pandemia, quando viaggiare mi mancava profondamente.

Perché c’è un drago — simbolico, ma potentissimo.
Un gatto — vero e ironico.
E qua e là, qualche citazione musicale, per chi ama leggere con le cuffie e il cuore aperto.

Quale romanzo hai letto quest’anno che ti ha maggiormente colpito e consiglieresti?

Consiglierei “Se i gatti scomparissero dal mondo” di Genki Kawamura, uscito in traduzione italiana nel 2019. È un romanzo breve, ma profondamente toccante, che affronta il tema del cambiamento, della perdita e del significato autentico della vita.

Mi ha colpito perché, con una semplicità disarmante, riesce a porre domande profonde: cosa siamo disposti a lasciare andare? Cosa conta davvero? Alla fine, ciò che emerge è l’importanza dei legami umani, dei piccoli gesti quotidiani, e della consapevolezza che ogni giorno ha un valore irripetibile.
Il successo del libro parla da sé: ha venduto oltre 1 milioni di copie solo in Giappone e più di 2 milioni nel mondo.
Ma al di là dei numeri, è l’eco emotiva che lascia a renderlo speciale.

Adesso è arrivato il momento di porti una domanda che nessuno ti ha mai fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere.

“Chi ti ha insegnato ad ascoltare il silenzio?”

La mia terra, prima di tutto. Sono cresciuta in Abruzzo, una regione profondamente mistica, punteggiata da monasteri e attraversata da quattro parchi naturali, dove il silenzio non è assenza, ma respiro della montagna, eco della pietra.
Poi la Sardegna, quella più selvatica e primordiale, dove ho trascorso molte delle mie estati. Lì il tempo sembra dilatarsi, e certi luoghi — spogli, ruvidi, silensiosi — ti portano fuori dal mondo, per restituirti a te stessa.
E infine il Giappone. Nei templi di Kyoto, nei giardini zen, ho capito che il silenzio non è mai vuoto: è pieno di senso, di intenzione, di ascolto.
È da quel silenzio che nasce ogni parola che conta davvero.

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Recensione scritta da

Redazione - Recensione Libro.it

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